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Gennaro: il coraggio della testimonianza
Due anni fa sulle pagine di questo sito comparve una biografia su san Gennaro, sempre poco e venerato e poco conosciuto. Quest’anno, per interessamento del Parroco don Sergio Vitulano, san Gennaro è stato onorato con un triduo, e la festa del suo martirio sarà celebrata con solennità. Desideriamo dunque riproporre la vita di San Gennaro, riveduta e aggiornata.

18/09/2010 - VITA DI S. GENNARO
Quando si pensa a S. Gennaro, immediatamente la fantasia corre alla città di Napoli e al celeberrimo miracolo del sangue, che annualmente, secondo la credenza del popolo, si liquefa in specifiche circostanze. Ma è forse più opportuno osservare l’esempio di vita che Gennaro ci propone a distanza di tanti secoli: un giovane innamorato di Dio, coerente, che ha scelto la vita consacrata per meglio servire Gesù e il prossimo fino a versare il sangue nel crudele martirio.
Innanzitutto è bene precisare che probabilmente “Gennaro” non era il nome proprio del Santo, ma il nome gentilizio, corrispondente all’attuale nostro cognome. Il nome invece non ci è pervenuto.
Contemporaneo dei SS. Medici, nacque probabilmente a Napoli, o secondo altre fonti a Pozzuoli, nella seconda metà del terzo secolo. Nulla sappiamo della sua vita, se non che fosse di famiglia nobile. Scelse la vita consacrata, e in età molto giovane per acclamazione popolare fu eletto Vescovo di Benevento, dove svolse il ministero apostolico con impegno e dedizione, amato dal popolo e persino dai pagani, che ammiravano la cura che impiegava nelle opere di carità dispensate verso tutti, cristiani e non, in un epoca di relativa pace per la Chiesa. Ma dal 293 d.C. l’imperatore Diocleziano ordinò sanguinose persecuzioni contro i cristiani. Il proconsole della Campania, Dragonio, fece arrestare molti cristiani, tra cui un tale Sossio, diacono di Miseno, importante porto romano sulla costa occidentale del litorale flegreo. Sossio era ben noto al Vescovo di Benevento, che proprio in quel periodo si trovava a Pozzuoli in incognito, assieme al diacono Festo e al lettore Desiderio. Gennaro pensò di recarsi dal diacono in carcere per dargli conforto e incoraggiarlo perchè si mantenesse saldo nella fede durante il martirio. Ma voci traditrici rivelarono al tiranno Dragonio la vera identità dei tre visitatori, che furono immediatamente arrestati. La notizia scatenò moti di ribellione in tutto il circondario: Procolo, diacono di Pozzuoli, e due cristiani famosi di quel tempo, Eutiche ed Acuzie, sorsero in difesa degli arrestati, ma furono anch’essi imprigionati, mentre il malcontento popolare dilagava. Allora Dragonio pensò di far sbranare Procolo, Eutiche ed Acuzie dagli orsi in un pubblico spettacolo, perchè la loro fine intimidisse i ribelli. Ma osservando che il clamore aumentava, prevedendo gravi disordini, tornò sui suoi passi lasciando i prigionieri in carcere.
Il 19 settembre del 305, il Vescovo Gennaro e gli altri cristiani vennero giustiziati per decapitazione nel foro di Vulcano, presso la solfatara di Pozzuoli. Gennaro aveva non più di trentacinque anni, e i suoi compagni erano ancora più giovani.

LE RELIQUIE
I corpi furono prelevati di nascosto da cristiani di Pozzuoli e sepolti vicino la Solfatara. Parte del sangue del martire Gennaro, secondo la tradizione, fu raccolto e conservato in ampolline.
Il 14 aprile 431, per ordine del vescovo di Napoli Giovanni I, i resti mortali di Gennaro furono traslati a Napoli nelle catacombe di Capodimonte, presso la tomba dell’allora Patrono di Napoli S. Agrippino. Gli altri corpi ebbero una storia a parte, e furono per lo più riportati nei rispettivi luoghi d’origine. La catacomba che custodiva le reliquie del Vescovo divenne meta di pellegrinaggi, e documenti del V secolo testimoniano che in quel periodo egli era già venerato col titolo di Santo (la Chiesa lo riconobbe tale nel 1586), invocato in particolare contro le calamità naturali e le eruzioni del Vesuvio. Nel 512, come ringraziamento per l’ottenuta cessazione dell’eruzione vulcanica, l’allora Vescovo ordinò che la reliquia del cranio fosse trasferita in una chiesa a lui dedicata, su cui successivamente fu edificato il Duomo. La scelta si dimostrò provvidenziale, perchè a seguito delle invasioni longobarde, le ossa di tutti i santi sepolti nelle catacombe di Capodimonte, fuori dalle mura cittadine, furono riesumate e traslate a Benevento, sede del ducato longobardo. Fra esse vi era il resto del corpo di S. Gennaro. Nel 1156 le reliquie furono trasferite presso il santuario di Montevergine, in provincia di Avellino, dove furono dimenticate. La devozione continuava e si diffondeva, ma non esisteva più memoria del luogo ove riposava il corpo.
A seguito di scavi ivi effettuati nel 1480, le ossa furono ritrovate sotto l’altare maggiore, custodite in una cassa con iscrizione che, inequivocabilmente, attribuiva le povere ossa a Gennaro Martire, Vescovo di Benevento. Iniziarono allora lunghe trattative con i monaci del Santuario affinchè fossero restituite alla città di Napoli. Il 13 gennaio 1492, il corpo di San Gennaro tornò finalmente a Napoli, e fu inumato nella cripta del duomo, dove erano custoditi le presunte ampolle del sangue, ed il cranio, che era stato incastonato in un busto d’argento, dono di Carlo II d’Angiò. Nel 1646 il busto ed il sangue furono trasferiti nella cappella del Tesoro, nel duomo di Napoli. Il corpo rimase invece nella cripta, su cui si innalza l’altare maggiore della Cattedrale.

IL MIRACOLO DEL SANGUE
Il sangue di S. Gennaro fu conservato in un reliquiario dono di Roberto d’Angiò (1309-1343), che fu modificato nel XVII secolo. Tra due vetri di 12 cm di diametro sono custodite le ampolline: una più grande di forma ellittica schiacciata, piena per circa il 60% del volume, l’altra, piccola e cilindrica, contiene solo poche macchie rosso-brunastre.
Il miracolo della liquefazione del sangue non è un’esclusiva di S. Gennaro. Anche ad altri Santi è attribuito l’annuale prodigio della liquefazione del sangue, ma quello di S. Gennaro è senza dubbio il più famoso tra i prodigi di questo genere. La liquefazione più antica di cui si ha notizia avvenne il 17 agosto 1389, ma probabilmente il fenomeno avveniva già prima di quella data, sebbene non ce ne siano pervenute notizie. Il prodigio si ripete tre volte l’anno: il secondo sabato di maggio, in memoria della traslazione del corpo da Pozzuoli a Napoli, il 19 settembre, anniversario della decapitazione, e il 16 dicembre, in ricordo dell’eruzione del Vesuvio del 1631, bloccata per intercessione del Santo. In tali circostanze il reliquiario viene prelevato dalla nicchia della cappella del Tesoro e trasferito sull’altare maggiore. Qui, a seguito di invocazioni e preghiere, alla presenza del cardinale arcivescovo, il liquido presente nell’ampolla più grande passa allo stato liquido. Allora il reliquiario viene prelevato e capovolto, per dimostrare che la sostanza solida in esso contenuta si è sciolta. Dopo i festeggiamenti il liquido si solidifica, e il reliquiario viene deposto nella cappella.
Non sempre il prodigio avviene, o talvolta avviene con giorni o ore di ritardo. Talvolta, quando il reliquiario viene prelevato, la sostanza si è già liquefatta.
La mancanza del prodigio o il suo ritardo vengono interpretati come segni di malcontento del Santo verso il suo popolo, a cui chiede un impegno più intenso nella vita cristiana. O taluni affermano che con la mancata liquefazione, il Santo voglia avvertire i suoi devoti di una prossima calamità pubblica.
Oggetto di numerosi studi, il reliquiario fu sottoposto nel 1988 all’esame spettroscopico, il quale ammise che nel liquido sembrava esserci emoglobina, e quindi vero sangue, ma i metodi del tempo erano comunque abbastanza arretrati per fornire un verdetto certo. Se fosse vero sangue, non esistono spiegazioni scientifiche per il prodigio, su cui comunque la Chiesa non si è mai ufficialmente espressa, limitandosi piuttosto ad additare l’esempio di costanza della vita di San Gennaro, piuttosto che gli aspetti miracolistici legati alla sua figura.

Pietro Angione

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