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Briciole di storia: il servizio funebre

17/11/2010 - Il mese di novembre, che la Chiesa consacra alla memoria dei fedeli defunti, costituiva in passato uno dei momenti cardine della vita confraternale. Le vicende legate al culto delle Anime del Purgatorio costituiscono, infatti, un capitolo corposo della storia del Sodalizio, a tratti apparentemente macabro, ma ricco di significati antropologici e caritativi.
Le Confraternite settecentesche e ottocentesche di Molfetta, infatti, si discostavano dalle Congreghe già esistenti per le finalità perseguite, principalmente di culto, e raramente caritative. L’unico aspetto che permaneva negli Statuti di nuova istituzione, era quello legato alla pia pratica di dare degna sepoltura ai poveri iscritti alla Confraternita, oppure ai parenti più stretti di questi.
Nel regolamento originale, approvato il 22 marzo 1815, si istituiva il servizio funebre. L’elenco dei confratelli era diviso in tre gruppi di numero uguale di confratelli, chiamati “colonne”. Ciascuna “colonna” avrebbe prestato servizio per quattro mesi dell’anno, accompagnando i confratelli o le consorelle defunte nel corteo funebre (della Confraternita, all’epoca, facevano parte anche le donne. Così fu sino all’istituzione della Pia Associazione Femminile nel 1958). La Confraternita era in dovere di fornire la cassa e tre cantori, mentre le spese per becchini e diritto di sepoltura erano a carico della famiglia del defunto. Se il funerale si fosse celebrato di mattina, la Confraternita avrebbe fatto celebrare una messa cantata nella chiesa in cui sarebbe seguita la tumulazione (non esistevano i cimiteri). Se il funerale non fosse stato celebrato di mattina, la Congrega avrebbe fatto celebrare una messa presso la chiesa in cui aveva sede (all’epoca era la chiesa di San Domenico), il terzo o il settimo giorno dopo l’inumazione.
Entro un mese dalla dipartita la Confraternita, poi, avrebbe fatto celebrare diciannove messe in suffragio del confratello defunto. Le messe erano nove, invece, in occasione della dipartita di una consorella.
Un servizio funebre più ridotto sarebbe spettato a figli o figlie celibi di confratelli, sebbene non iscritti al Sodalizio: l’accompagnamento con il crocifisso della Confraternita, la cassa e quattro confratelli che avrebbero accompagnato il corteo ai lati del feretro.
Erano previste serie misure di rigore contro coloro che avessero contravvenuto agli obblighi del servizio funebre. Il confratello avrebbe dovuto cercare un sostituto, in caso d’impedimento a partecipare a un funerale, notificandone il nome al Priore. In caso di contravvenzione, il confratello avrebbe pagato una multa di cinque grana.
Col trasferimento della Confraternita in S. Gennaro, il parroco cedette in eterno alla Confraternita il braccio di ponente della cripta della chiesa, nell’area corrispondente al cappellone dell’Assunta, con l’obbligo di “fare le aperture al di sopra con iscrizioni dimostrative d’esser (i defunti) quelli propri di essa Confraternità”.
Il servizio funebre operò probabilmente sino alla prima metà del novecento, adattandosi ovviamente alle nuove esigenze legate all’edificazione, nel 1862, della cappellina cimiteriale, ove venivano accompagnate le salme. Le casse venivano accatastate nell’ipogeo sino alla scarnificazione. Dopo, le ossa venivano gettate nella sottostante “carnaria”, al secondo livello sotto il piano stradale, cui si accedeva attraverso due botole dell’ipogeo.
Nell’archivio confraternale, oltre ad un messale per le Anime Purganti del 1905, sono custoditi quattro registri del servizio funebre, relativi al periodo 1926-1936, dai quali si desume la sempre più scarsa adempienza dei confratelli all’obbligo dell’accompagnamento, comprovato peraltro dai verbali delle assemblee di quegli anni. Pare che, col passare dei secoli, il servizio divenne volontario. I confratelli che vi aderivano ricevevano notevoli agevolazioni circa il pagamento dell’annualità, o addirittura una piccola remunerazione.
Dai verbali degli anni cinquanta si desume che, da tempo, il servizio funebre doveva essere già abolito. Si legge: “la coperta nera che prima si adoperava per le processioni funebri dei confratelli, visto che oggi non serve più a tale scopo, (il Priore) propone che venga accomodata in modo da poterla adoperare come panneggio alla casa del confratello che decede pagando al sottopriore la servitù” (verbale del 15 febbraio 1959).
Nel dicembre 2009, in un locale parrocchiale, fu rinvenuta la bara della Confraternita, assieme alle casse delle altre Confraternite con sede in S. Gennaro, che fu (a insaputa dell’Amministrazione), mandata al macero. Essa non aveva funzione di contenere la salma, ma di semplice rappresentanza: veniva posta in chiesa in occasione del trigesimo, della messa in suffragio, o durante l’Ottavario dei Morti celebrato dalla Confraternita.
Oggi il culto dei morti è ridotto alla messa in suffragio di confratelli e consorelle, celebrata ai vespri del 15 agosto, oltre alla messa in suffragio di confratelli e consorelle defunti durante l’anno, celebrata un giorno della quindicina.
La cappella gentilizia cimiteriale custodisce più di un centinaio di salme a deposito negli ossari, oltre a quattro defunti tumulati nell’ipogeo, nel disinteresse generale dei congiunti che, anzi, rifiutando di versare l’offerta annuale per il deposito, reclamano il diritto di ingresso in cappella. La manutenzione, la pulizia e il decoro, sono completamente a carico della Confraternita.

Pietro Angione

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